Ho cominciato a lavorare come architetto nello studio di famiglia, insieme a mio padre – ingegnere - e a mio fratello – ingegnere a sua volta.
Lo studio era nato dall’attività individuale di mio padre che ha intrapreso la libera professione negli anni Sessanta dopo aver svolto il ruolo di Ingegnere Capo della sezione Edilizia Privata del Comune di Bergamo: nel 1990 nasce lo Studio Associato Peretti – servizi di progettazione e gestione integrata di ingegneria e architettura.

Ho cominciato in punta di piedi considerando questo lavoro come una delle possibilità insieme ad altre che svolgevo contemporaneamente, l’insegnamento di qualche ora di arte al Liceo Scientifico Fermi, l’assistenza e la ricerca al Politecnico di Milano nel corso di Composizione 1 di Emilio Battisti e in quello di Storia dell’Architettura di Luciano Patetta.

Mio padre nella sua vita professionale ha attraversato, come testimone e interprete, un cinquantennio di cambiamenti straordinari nella concezione dell’edilizia e della libera professione, nelle tecnologie costruttive, nei sistemi di calcolo, nei metodi di impostazione del cantiere e dei processi, negli strumenti.

Ha incarnato pienamente la figura del professionista dell’edilizia a tutto tondo, capace di accentrare dentro sè esperienze e mansioni che poi, via via, si sarebbero frantumate in molti specialismi diversificati; in studio lavorava col camice bianco e amava moltissimo disegnare a mano libera. Si occupava di tutto con grande serietà e il suo essere ‘ingegnere’, prima ancora che riferirsi al calcolo delle strutture, era sinonimo di un’impostazione generale caratterizzata dal rigore e dal senso di responsabilità.

Non ha mai abbandonato l’attività di insegnante, non di certo per necessità economiche, ma per autentica vocazione: per decenni ha insegnato topografia e costruzioni ai futuri geometri della nostra provincia.

Erano gli anni del boom edilizio, dell’economia del mattone e dell’espansione all’infinito.

C’era tanto lavoro negli anni 80 e 90.

La situazione ricorrente era quella di chi si trovava sempre a dover rincorrere gli obblighi posti dalla realtà., senza poter mai trovare il tempo per fermarsi a pensare e progettare come cambiarla.

In questi anni ho imparato da dentro l’edilizia, la sua fatica, la sua complessità. Ho imparato la burocrazia e le leggi, ho imparato il cantiere, la sua direzione e la sua contabilità, ho imparato i dettagli e la loro importanza. Ho imparato il disegno esecutivo e il progetto del reale.

Sono passata dal tecnigrafo al computer, è stato un cambiamento totale, una rialfabetizzazione su tutti i fronti, affascinante e faticosa anche perché a partire dal basic con tavoletta grafica, ho dovuto ricominciare da capo più volte, attraverso il pc fino allo smartphone.
Penso di aver vissuto in una sola vita i cambiamenti che in passato attraversavano diverse generazioni.

Per un lungo periodo il mestiere mi ha assorbito totalmente e ho sospeso la mia parte visionaria.

Oggi mio padre ha novantatre anni e disegna, con grande passione, ritratti di persone a carboncino : ascoltando i suoi racconti e le sue memorie di come si faceva “un tempo” mi rendo conto della rivoluzione totale che, in un brevissimo arco storico, ha ribaltato i modi di pensare al territorio, alla sua rappresentazione e al suo senso. Al senso del nostro abitarlo e al senso del nostro mestiere.