Poche altre cose mi irritano e infastidiscono allo stesso modo: forse l’ambrosia, la parietaria.
Fastidio e irritazione, prurito e gonfiore, voglia di cambiare aria e, se ciò non è possibile, di ribellarsi e aggredire e, se anche ciò non è possibile, di grattarsi fino al sangue, di immergere la testa nell’acqua gelida.
Come l’ambrosia e la parietaria il buon gusto dilaga, è infestante e prevalente: non si sfugge al buon gusto.
Nel presente del visibile il buon gusto si insinua nei rapporti umani, nelle situazioni, negli spazi e nei luoghi, indefinito compagno di strada degli esseri che attraversano, indecisi e voraci, la loro esistenza di consumatori, vestendosi, parlando, pensando, abitando con buon gusto.
Non posso continuare così.
Au rebour, au rebour.
Non voglio chiudermi in casa, non voglio chiudermi al mondo come Des Esseintes che non ho mai amato.
L’allergia alla parietaria si cura iniettandosi dosi crescenti dell’allergene e consentendo via via al proprio organismo di imparare a convivere con ciò che, finché è fuori di te, ti impedisce di respirare.
Seguirò la stessa terapia: per impedire al buon gusto di continuare a tagliarmi il respiro, mi vaccinerò iniettandomi dosi crescenti di consapevolezza, indagandolo senza abbassare lo sguardo, scoprendo ogni suo aspetto, succhiandone il polline come un’ape alacre e infaticabile.
Lo descriverò, gli darò una forma narrativa.
È ciò che non riusciamo a inquadrare e ad affrontare che agisce nei nostri strati più intimi e devasta.