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ESISTE UNA QUESTIONE FEMMINILE NELL’ARCHITETTURA?

ESISTE UNA QUESTIONE FEMMINILE NELL’ARCHITETTURA?

Il 7 marzo sono stata invitata a una serata di confronto organizzata dal collettivo Rebel architette a Bergamo, con lo scopo di ragionare sul tema. E’ stata una serata accogliente e positiva, ricca di stimoli e di ragionamenti.
Di seguito riassumo in tre blocchi i temi che, personalmente, ritengo centrali quando si parla di questione femminile nell’architettura.

IL GAP È MISURABILE
I numeri sono chiari e non lasciano dubbi: il gap esiste.
Nel mestiere dell’architettura le donne , che pur sono molto numerose e brave nella fase della scolarizzazione universitaria, continuano ad essere meno visibili, a gestire ruoli subalterni negli studi , a guadagnare meno, ad essere presenza minoritaria nelle conferenze , nei convegni, nelle commissioni.
Come per le scatole cinesi la difficoltà dell’essere architetta è contenuta in quella più generale dell’essere donna in Italia e, allargando ancora, dell’ essere donna in questo pianeta: la disparità è globale , anche se con differenze notevoli tra paese e paese che rispecchiano il livello di emancipazione dei sistemi sociali e lo stato di salute generale della convivenza civile.
Secondo il rapporto del World Economic Forum sul Gender Gap nel 2108, nella classifica dei 144 paesi analizzati l’Italia occupa l’82° posto per la capacità di mettere in campo azioni idonee a colmare il gap, mentre scende addirittura al 126° quando si misura la parità retributiva tra i generi.
A peggiorare la situazione, sta il fatto che i numeri ci raccontano di una caduta costante e vertiginosa negli ultimi anni: essere donna in questo paese non solo non diventa progressivamente più facile, ma, al contrario, diventa sempre più difficile.
Lo attestano i numeri: senza numeri la questione femminile è fortemente manipolabile e quasi sempre la manipolazione è finalizzata ad indebolirne la portata.

ABBIAMO SCELTO UN LAVORO CHE È NEL CUORE DEL GAP – PROGETTIAMO PER IL MONDO

Ci occupiamo di architettura, città, territorio: progettiamo la forma dello spazio pubblico, dei luoghi dove si vive, dove si lavora. Diamo forma alla rappresentazione dell’autorità, del potere, della democrazia.
Contribuiamo all’organizzazione dei sistemi sociali.
Non per caso al nostro mestiere, protetto da un Albo regolato dal Ministero di Grazia e Giustizia, viene riconosciuto un alto interesse pubblico e una grande responsabilità sociale.
Ogni volta che progettiamo un punto, per quanto piccolo, diamo una risposta non solo al nostro diretto committente, quello che ci paga la parcella, ma alla collettività.
Usando questa prospettiva – progettiamo per il mondo - il gender gap non è soltanto un tema contrattuale, ma è un tema profondamente culturale, ragionando sul quale si aprono affascinanti percorsi per la ricerca di nuove modalità, nuovi strumenti, nuovo immaginario, nuove misure e nuove forme.
In questa fase storica è il mestiere che abbiamo scelto a dover essere sottoposto a una complessiva ridefinizione : i problemi della contemporaneità sono tali da imporci di abbandonare la ‘neutralità’ di chi sostiene che l’architettura sia una disciplina finalizzata a fornire risposte, prevalentemente di tipo formale, a domande poste al suo esterno, senza ragionare sulla loro ragionevolezza.
E’ un mondo fragile che ha bisogno di cura, di riequilibrio, di attenzione e di inclusività: è un mondo in cui le fasce ‘deboli’ stanno aumentando vertiginosamente e in cui le città sono lo specchio di un’ingiustizia spaziale evidente, alimentata da grandi processi di gentrificazione, di consumo esasperato, di marginalizzazione delle differenze.
E’ un mondo di ‘città chiuse’ dove i cittadini sono progressivamente privati di spazi di autodeterminazione e dove gli ascensori sociali funzionano sempre meno (Richard Sennet).
E’ un mondo dove il mercato immobiliare delle grandi trasformazioni è sempre più nelle mani di logiche finanziarie atopiche che ‘estraggono valore’ anziché crearlo, bruciando capitali sociali e ambientali.
E’ un modo di espulsioni (Saskia Sassen).
Se la prospettiva è quella di progettare per il mondo, prima ancora che di fornire risposte, questa fase storica ci chiede di porre domande adeguate.
E se la prospettiva di chi progetta è quella di porre al mondo nuove domande, per lo sguardo femminile si aprono orizzonti vasti e fondativi.
In questa prospettiva il gender gap da debolezza diventa valore aggiunto in termini di esperienza vissuta, motivazione, creatività, nuovo immaginario, marketing strategico.

COOPERAZIONE versus COMPETIZIONE - ALLEANZA COME VALORE STRATEGICO

L’attivismo di Rebel Architette si basa su una strategia molto efficace : alcune caratteristiche del suo agire diventano riferimenti interessanti per l’agire delle donne in generale.

Rebel Architette è un collettivo: le singole individualità lavorano insieme, valorizzandosi reciprocamente.

E’ un collettivo aperto e inclusivo che si prefigge di accogliere ed estendere la partecipazione a soggetti esterni: il suo obiettivo principale è quello di dare visibilità alle progettiste donne e di fare emergere criteri di qualità finora non considerati nel mercato della professione, per esempio l’impegno sociale.

E’ un collettivo digitale, che usa al meglio gli strumenti della contemporaneità per creare rete, diffondere, comunicare, ampliare i contatti e i contenuti.
Lavora a più livelli, locale e globale: la questione femminile attraversa il mondo.

L’approccio competitivo e individualista viene sostituito da un approccio cooperativo : la condivisione, l’apertura, la ricerca di alleanze sono contemporaneamente valori da sostenere e strumenti che consentono risultati migliori, efficacia ed efficienza.
Insieme si è più forti e si lavora meglio: questo è uno dei contenuti importanti del progetto contemporaneo.

L’obiettivo? Non quello di infilarsi a spallate nel mercato, ma di cambiarne totalmente le logiche, in vista di un mondo migliore.

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