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C’E’ CASA E CASA 8

Riflessioni al tempo del coronavirus

 

La casa delle cose

Molti di noi in questo periodo di confinamento forzato hanno occupato parte del loro lungo tempo in casa , riordinando, aggiustando, riscoprendo i molti oggetti che si accumulano inevitabilmente in ogni ambiente domestico.
È stata un’occasione per far riemergere ricordi nascosti negli anfratti della memoria, ma anche per renderci conto di come le nostre case siano invase da molte cose che occupano lo spazio polverose e inutili.
Oggetti che ingombrano e sottraggono spazi vitali, piuttosto che aiutarci e servirci.
Oggetti senza un senso,senza un legame.
Che costringono e ingabbiano il nostro immaginario e i nostri corpi.
Quanti sono nella nostra casa gli oggetti dai quali non potremmo separarci, quelli che davvero rappresentano qualcosa?
In quello che Gillo Dorfles definisce ‘il grande pasto estetico della contemporaneità’ siamo tutti attori e spettatori del kitsch : ibridazione, sovrapposizione di grammatiche e significati, miscuglio, inconsapevolezza, distacco tra esteriorità e senso.
Con manifestazioni molto variegate, il Kitsch accompagna l’attuale civiltà dei consumi che ha reciso il legame tra la produzione di oggetti e la dimensione del ‘necessario’, facendo crescere a dismisura la dimensione del ‘superfluo’.
Sepolta dal mio superfluo penso spesso in questi giorni al Museo Ettore Guatelli di Ozzano Taro in cui, entro un’ esposizione fantastica , puoi vedere una raccolta ricchissima di oggetti utilizzati nella vita quotidiana della campagna emiliana.
Un mondo ormai lontano.
Hanno questi oggetti della cultura contadina, un senso chiaro: servono per svolgere precise funzioni, sono stati fatti per durare il più possibile, sono stati curati, riparati, tramandati.
Durano generazioni.
Chi li ha usati spesso coincide con chi li ha realizzati: chi li ha usati spesso ha apportato via via piccole modifiche perché, in base all’esperienza, ha capito come farli funzionare meglio.
Mani intelligenti, piena consapevolezza del come e del perchè.
Esattamente l’opposto del rapporto contemporaneo con gli oggetti di consumo: non capiamo quasi mai come sono fatti, cosa ci sta dietro. Non li ripariamo, li buttiamo via…….
Sogno una casa vuota di cose, ma piena di pensieri sulle cose, piena di sensazioni che si avvicendano come i miei stati d’animo, come la mia disponibilità.
Il minimalismo dei segni, prima ancora che un trend è un bisogno di sopravvivenza in un mondo che ti vende tutto, intorpidendoti i sensi e il cervello.
Casa come luogo selezionato, fatto di scelte che mi rappresentano in assoluta libertà, senza schemi a priori, senza condizionamenti.
Una finestra verso il mare che amo, l’altra verso un albero che cambia le foglie e i colori durante le stagioni, una sul cielo.
Una grande scorta di sapori elementari e fragranti, che non mi costringano ore ai fornelli, ma che mi restituiscano il senso del cibo per vivere, togliendomi alla schiavitù del vivere per il cibo.
Una nuova ecologia dell’esistenza, una deframmentazione del disco rigido che rimetta ordine nei miei rapporti, lasciandomi lo spazio per gustare l’aria che respiro.