In una città non lontana da quella in cui abito, ho assistito in questi giorni a un convegno che, come un condensato di pollini, mi ha creato problemi di respirazione assai gravi. L’allergene famigerato infatti, il buon gusto, era presente in quantità davvero massiccia, di certo oltre la soglia di allarme per il livello della mia tolleranza.
Il convegno era dedicato a un tema ricorrente nelle discussioni della provincia italiana di questo periodo, il Museo dell’Arte: più in particolare, l’occasione era stata organizzata per illustrare il progetto di sistemazione dell’edificio storico che ospita la ricca e prestigiosa raccolta di opere pittoriche donata alla città da una famiglia nobile del secolo passato.
Beh, penserete, cosa c’è di così allergizzante: benvengano le discussioni allargate e partecipate intorno ai temi che riguardano la qualità dei luoghi in cui viviamo.
Certo, rispondo, ma aspettate … pochi soldi, una fantasia ormai emigrata…… devo ancora narrarvi le circostanze che rendono più plausibile la mia crisi d’asma… Il tema è importante, i precedenti sono molti, il museo civico è per eccellenza il luogo del buon gusto culturale …… tutti dicono …… tutti hanno detto…… tutti pensano di poter dire.
È da anni, forse decenni che nella città non lontana da quella in cui abito si parla del progetto di ampliamento e riorganizzazione del sistema museale: anni di parole, ipotesi, discussioni di lana caprina, impegni elettorali e via dicendo.
La scossa definitiva all’invincibile inerzia è stata assestata dall’emanazione di una nuova legge che rende obbligatorio entro un termine prestabilito, l’adeguamento dei requisiti di sicurezza e delle prestazioni impiantistiche degli edifici museali.
Come un fulmine a ciel sereno la nuova legge ha posto un limite al dilagare delle discussioni di anni, imponendo un punto di arrivo che forse non sarebbe mai giunto senza l’urgenza dettata da tale provvedimento.
Ecco quindi l’assegnazione dell’incarico professionale per la progettazione dell’opera al luminare di fama internazionale, in modo tale da evitare, almeno su questo fronte, mugugni locali: ed ecco finalmente il risultato che trova tutti d’accordo o forse è meglio dire, il risultato che toglie ogni motivo per non essere d’accordo a tutti gli ameni personaggi a cui la ricca città di provincia ha, senza troppo pretendere, consegnato il ruolo di opinion leader.
Il luminare stanco e ormai vecchio – che punta giustamente al quieto vivere ma che in questa società bloccata non riesce ancora a immaginarsi fuori dalla scena – ha deciso di far passare i nuovi impianti sulla facciata verso il giardino, un retro privo di particolari pregi architettonici. Ottima idea, intelligente perché consente una facile ispezionabilità nel corso del tempo e di ridurre al minimo gli interventi distruttivi all’interno dell’edificio storico e sulle parti da tutelare. Per coprire gli impianti è previsto uno schermo, un paravento che ne impedisca la vista. La “parete tecnologica”.
È questa una soluzione che ha già illustri precedenti nella storia dell’architettura degli ultimi decenni: una pelle leggera, ispirata da criteri di neutralità linguistica, sincera e funzionale, adatta per questo a non confliggere con le sintassi impegnative della storia, ispezionabile, smontabile,… insomma tecnologica.
Ma, mai fidarsi delle parole…… a volte spiegano e fanno capire, altre volte coprono e allontanano la comprensione della realtà.
Il colpo di scena finale riempie di gioia e intima soddisfazione gli opinion leader cittadini.
Ah, dimenticavo. Età media settant’anni. La media non è poi così impressionante, perché viene abbassata dalla presenza di una giovane trentenne, marmocchia dell’alta borghesia, famosa per non aver mai letto un libro e per aver comprato il diploma in una scuola superiore privata.
Anche lei ora è un opinion leader: anche lei ha deciso di occuparsi di arte.
Se avrò tempo tornerò sulla scuola privata… forse, per guarire, è importante indagare i luoghi e le circostanze dentro cui il buon gusto viene incubato, allevato e ingigantito.
La parete tecnologica è in realtà una maschera muraria in stile neoclassico, ribaltamento speculare e “in stile” della facciata principale del museo, che è a sua volta neoclassica, ma non per piacere agli opinion leader settantenni e per continuare a piacergli sempre più quando a ottant’anni faranno ancora gli opinion leader della città insieme alla giovane marmocchia un po’ invecchiata, ma perché l’hanno davvero costruita a cavallo del 1800.
Il risultato di anni di discussioni è un clone del passato, un “mostro” semplificato e pallido.
Il presente non ha diritto di cittadinanza, si sottrae di nuovo a un’affermazione esplicita e diretta.
Ecco la crisi d’asma che toglie il respiro.
Ma dove siete, giovani intellettuali lanciati verso il domani, pieni di ansia e di vita, di ormoni e di speranze?
Il museo è anche vostro, così come il presente.
Non lasciatelo in mano a questa “élite” imbalsamata.
Non aspettate il futuro per esistere.

P.S. Secondo l’ICOM (International Council of Museum) il Museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali e immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e specificamente le espone per scopi di studio, educazione e diletto.
Come le marcite per molte specie di uccelli, il Museo può essere un habitat congeniale per la nidificazione del buon gusto , inteso come attitudine a celebrare, piuttosto che a innovare. La funzione utilissima e irrinunciabile del “conservare” testimonianze, in non pochi casi si associa a una mentalità retriva dentro la quale la parola “conservazione” diventa sinonimo di “reazione”, “antimodernità”, “arretratezza”.
L’essere al servizio della società nel suo complesso e dello sviluppo di una cultura aperta, non bloccata e ripiegata su se stessa, sono obiettivi da non dimenticare mai se vogliamo che il museo sfugga al destino livido di essere luogo ammuffito e privo di linfa vitale.