Il presente delle reti e dell’informazione sta cambiando totalmente la nostra idea di territorio.
Lo spazio contemporaneo è fatto di flussi, di relazioni tra nodi concettuali indipendenti dalle distanze fisiche e sempre più svincolate dalle caratteristiche geografiche: in questa nuova realtà ci muoviamo come dentro un ipertesto, ciascuno con un proprio tragitto, spesso variabile nel corso del tempo, in modo a-gerarchico e a-simmetrico, funzionale ad un’ipotesi soggettiva che in molti casi ha un esito non pre-determinato.
Nell’iperterritorio cambiano i modi di abitare e i modi di viaggiare. Gli edifici sono macchine che producono prestazioni ed energia, flessibili, trasparenti, durano poco, sono la nostra interfaccia, vivono e si trasformano con noi, muoiono presto e vengono sostituiti.
L’idea del monumento imperituro scompare dopo aver attraversato millenni di storia, mira dei potenti e ricchi padroni dell’umanità, ma anche degli umili abitanti di capanne di fango che hanno realizzato con la pietra la casa della morte, affidando alla tomba il compito di sopravvivere alla brevità della loro esistenza.
Quanta distanza in pochi anni. La rivoluzione è globale e totale.
Forse nell’iperterritorio la condizione possibile è soltanto quella del transitorio: forse insieme alle idee di monumento, gerarchia, eternità, abbiamo superato definitivamente l’idea di comunità sociale legata a una geografia specifica e capace di originare una cultura locale riconoscibile e diversa da quella degli altri luoghi.
Forse il buon gusto inteso come scollamento perpetuo tra i segni e i significati è l’unica condizione del gusto possibile nell’iperterritorio, dentro il quale le presenze galleggiano svincolate da un sentire comune fatto di riferimenti e simboli condivisi, valori e tradizioni sedimentate.
Mi vengono in mente le opere di Robert Delaunay, i suoi paesaggi di città e le Torri Eiffel che dipinse a Parigi in compagnia del mitico Orfeo, fatti da pezzi di una realtà scomposta e rimontata dentro atmosfere iridescenti di luci e colori, in vortici cangianti di movimento dettati dalla musica della sua anima straordinaria.
Era il 1910: il passaggio tra il XIX e il XX secolo avrebbe portato cambiamenti eccezionali nel campo dell’arte figurativa, un altro modo di leggere il mondo.
Negli anni successivi infatti Delaunay approdò all’astrattismo, termine ultimo del processo di sgretolamento della realtà percepita e verosimile.
Il 18 ottobre 1997 venne inaugurato il Museo di Bilbao, progettato da Frank O. Gehry, opera che verrà ricordata come paradigma dell’architettura del periodo di transizione tra il XX e il XXI secolo: nel titanio sfaccettato di questo capolavoro ritroviamo i riflessi e le lucentezze annunciati nella “Città” di Delaunay, segno che le idee attraversano il tempo e lo spazio ed emergono, grandiose e commoventi, nelle opere degli artisti.