La città è un luogo per sua natura instabile e mutevole, soggetto a cambiamenti continui e immerso in un processo di trasformazione senza fine.
Nonostante questo, anzi, proprio per questo, la città è il luogo privilegiato della pianificazione, cioè della messa a punto di sistemi di regole che tentano di governarne la mutazione endemica.
Nel rapporto, sempre conflittuale, tra mutevolezza della realtà e fissità delle norme che pretendono di governarla, sta il senso del progetto, dei suoi limiti e della sua etica.
Ogni codice attraversa fasi diverse, innovativo quando nasce come superamento di regole previgenti, per rispondere a nuovi bisogni e impulsi di civiltà, obsoleto e reazionario quando a sua volta viene superato dal codice successivo e diventa sinonimo di vecchiezza, blocco, conservazione sterile.
Mondi giovani, mondi vecchi….
Seguendo questa linea di ragionamento posso formulare un’ulteriore definizione e cioè che il buon gusto è il gusto di una società vecchia o della parte conservatrice di ogni società.
Per esistere le città hanno bisogno di continue rigenerazioni e di anticorpi che impediscano il radicamento di formule e sistemi indeformabili e iperstatici, incapaci per la loro rigidezza, di adeguarsi al movimento della realtà e allo sciame delle scosse trasformative che ogni giorno essa produce.
Per esistere le città, come tutti i sistemi viventi, devono poter contare sulla pluralità dei contenuti, sulla vitalità delle differenze, sulla biodiversità.
In questo mondo sempre più urbano, da architetto, sono convinta che uno dei compiti più urgenti del mio mestiere nel presente ipersaturo sia quello di progettare riserve di “non progetto”, luoghi fisici e mentali liberi da pianificazioni e da programmi, insomma, luoghi di libertà dove possano sopravvivere logiche diverse, codici esterni, linguaggi altri e non istituzionalizzati, capaci di rigenerare e sovvertire i codici stantii e irranciditi.
Da architetto penso che debbano esistere luoghi senza “regole strette”, o se vogliamo, luoghi a “maglie larghe” che, proprio per questo, possano essere incubatori di nuove intelligenze e di nuova vitalità.
Luoghi di cattivo gusto…
Da architetto amo sempre di più i luoghi “senza architetti”, i luoghi che non hanno bisogno della mia professionalità, ma della mia anima.