illustrazione © Francesca Perani

 

Quella mattina il risveglio fu diverso dal solito: le sensazioni non distinte che accompagnano il passaggio dallo stato del sonno a quello della piena consapevolezza affioravano man mano in forma di rumori smorzati, di luminosità brillanti attraverso le persiane.
Una grande nevicata. Durante la notte lo straterello sottile della sera precedente era diventato una soffice coltre, spessa oltre 40 cm.
Tutto cambia in città quando arriva la neve: tutto si trasforma in maniera radicale insieme alla percezione che abbiamo del mondo attraverso i nostri sensi.
Cambiano le forme che perdono spigolosità e individualità, rese solidali dal grande bianco che uniforma i colori nascondendone molti e rendendo più evidenti i pochi che lascia in vista.
Cambiano i rumori che raggiungono le nostre orecchie ammorbiditi, meno aggressivi: le automobili si diradano e con loro cala l’incessante brusio di motori che fa da sottofondo alla nostra quotidianità: le voci delle persone, i sussurri, i versi e le risa dei bambini assumono una nuova evidenza percettiva, una nuova umanità.
Cambiano completamente anche gli odori: la neve pulisce l’aria, filtra le polveri nere che si depositano nelle nostre narici e nei nostri polmoni.
La città riacquista gli odori e i nasi infreddoliti avvertono il piacere del respiro, dell’annusare e sentire.
Ma cambia anche lo spazio e il nostro modo di attraversarlo: i percorsi dei pedoni seguono tracciati bizzarri, dettati dalla comodità di transito, ma spesso anche dal piacere del tutto infantile di segnare il suolo vergine con le impronte del nostro passaggio o di invadere gli spazi che normalmente ci sono preclusi: lo spazio aperto e pubblico nella città bianca di neve, abbandona le gerarchie funzionali, cancella i confini tra le zone separate per le automobili, i pedoni ,le aiuole, i giardini…
In generale cambia anche la nozione del tempo.
La neve porta con sé una tacita autorizzazione alla lentezza, al ritardo, all’impossibilità di essere pienamente produttivi. I ritmi rallentano perché tutto è più difficile e ciò lascia spazio alle dimensioni “deboli” del gioco, dell’infantilismo, della pigrizia.