Se è vero che ogni ragionamento sul gusto non può prescindere da un ragionamento sul sistema di valori collettivi che ne sta alla base, lo straordinario successo dell’adunata nazionale degli alpini organizzata a Bergamo il 7-8-9 maggio 2010 pone molti interrogativi a chi vuole approfondire questo tema.
La città è risultata idonea a un collaudo assolutamente eccezionale: una “prova di carico” che avrebbe potuto mettere in crisi qualsiasi sistema territoriale è stata brillantemente superata, dimostrando risorse e qualità imprevedibili dello stesso sistema.
Durante i tre giorni dell’adunata ho attraversato Bergamo a piedi, in lungo e in largo, colpita a ogni passo dalla trasformazione totale dei suoi luoghi e affascinata dagli ossimori estetici che la presenza alpina ha messo in scena, sovvertendo categorie di comportamento normalmente rigide e creando un processo di identificazione allargato alle fasce più diverse di cittadini.
Prima di altre cose mi ha colpito il clima di fiducia che ha accompagnato lo svolgersi dell’adunata orobica. Fiducia totale con la quale le forze politiche all’unanimità, gli amministratori e i cittadini tutti hanno di fatto consegnato incondizionatamente il proprio territorio a un gruppo sociale che per tre giorni lo ha gioiosamente “invaso” occupando capillarmente ogni suo spazio fisico, uditivo, olfattivo e simbolico, con numeri che, anche in un’epoca come la nostra avvezza ai “grandi eventi”, sono davvero eccezionali.
In una città ordinata e normalmente introversa, gelosa dei suoi confini e della sua identità, il grande assembramento non ha generato sospetti, paure, tensioni o polemiche: al contrario festosità, accoglienza e, anche da parte dei cittadini meno partecipi, al massimo bonaria e comprensiva tolleranza.
Nell’epoca dell’insicurezza e dei body scanner, gli Alpini sono capaci di “non fare paura” riuscendo a essere nello stesso tempo “invasori” e “forze dell’ordine”.
Gli Alpini sono sì “militari” ma sono “informali”, indossano una divisa, ma non sono inamidati, esibiscono modalità espressive del tutto “disordinate”, capelli e barbe sciolte, andature ondeggianti e morbide. Gli Alpini sono militari “casual”.
La loro parata non ha nulla di meccanico e inumano, il rito non congela, annullandolo, l’individuo: al contrario la parata alpina è la rappresentazione di un insieme variegato e pittoresco di individui che hanno scelto, numerosissimi, di aderire a un gruppo, conservando le loro differenze.
Gli Alpini sono “militari” e “civili”: più di qualsiasi altro corpo armato hanno avuto la capacità di penetrare nella vita di tutti i giorni dei territori, offrendo azioni utili a servizio delle popolazioni che, per questo, li riconoscono e li considerano parte di sé.
Gli Alpini sono dentro il “nostro” mondo, non solo dentro il “loro”.
Gli Alpini sono “militari” e “buoni” e sono pure “alla buona”: non si nascondono dietro alti muri spinati, dietro apparati e “codici rossi”. Lavorano per la società tutti i giorni, sono operativi e ottimisti, generosi e semplici, genuini e non sofisticati.
Insomma gli Alpini sono terribilmente umani.
Gli Alpini sono “locali” e “nazionali” e sono pure “globali”: parlano i dialetti e sventolano il tricolore, portano la loro penna in giro per il mondo, nei continenti dove spesso, come molti italiani, hanno dovuto emigrare. La Bergamo dell’adunata ha sciolto ogni atteggiamento difensivo e localista, si è riempita di tricolori e di idiomi, in una grande festa di strada in cui anche le generazioni hanno superato ogni conflitto per confondersi una a fianco dell’altra nella più assoluta informalità.
Nell’epoca delle guerre “virtuali”, gli Alpini sono “fisici”, lo sono straordinariamente. La loro presenza trasforma gli spazi veri attraverso il lavoro, l’assistenza materiale, la manutenzione e la costruzione.
Non c’è spazio in città che non sia stato occupato, non c’erano vuoti. Parcheggi, aiuole, benzinai, campi, parchi, edifici pubblici, strade e piazze: se li sono presi tutti, li hanno utilizzati per vivere, mangiare, dormire, parlare, camminare, cantare. Bergamo è stata letteralmente ri-adattata, ri-allestita. È stata un’orgia di creatività senza peccato.
Gli Alpini non amano l’astrazione e non sono di certo rivoluzionari, ma esercitano una concretezza trasformativa.
Gli Alpini sono adulti e infantili, festosi e seri, beoni e controllati: sporcano e ripuliscono, fanno casino, ma non danni, rispettano le cose, rispettano la gente.
Per questo la gente li rispetta, per questo gli Alpini sono piaciuti tanto e sono piaciuti a tutti.
Il buon gusto inteso come ricerca artificiosa e affettata di una posizione sociale, dilaga e domina, ma, proprio per questo stanca, crea anticorpi e bisogni alternativi: essere persone di buon gusto è faticoso e stressante.
La parata alpina è stata uno spettacolo popolare, “senza menate” e senza tensione, divertente, senza conflitti e senza auto.
Tre giorni di oblio e di eccitazione collettiva.
A riflettori spenti, ricominceremo a lottare con tenacia e speranza per un mondo diverso, dal quale siano banditi gli eserciti e le guerre, pieno di arte e di vita, di donne e di cielo.