Il buon gusto è un sistema organizzato, forte, in grado di resistere ad attacchi di qualsiasi genere.
Come espressione della classe dominante, può contare su apparati solidi di resistenza e propagazione, ampiamente collaudati e sostenuti con dovizia di mezzi.
Gli oppositori sono pochi. Anche menti eccelse insofferenti alla fuffa di piccolo cabotaggio, spesso preferiscono ignorare che combattere: sviluppano una sorta di invidiabile impermeabilità nei confronti del contesto meschino in cui si trovano e continuano a veleggiare alle altezze irraggiungibili, di cui, soli, conoscono l’esistenza.
In fondo hanno ragione: combattere il buon gusto può avere conseguenze nefaste, sanguinose e cruente, molto spesso senza alcun risultato duraturo, anzi con inversioni di tendenza che trasformano le offensive in armi micidiali rivolte verso chi ha osato prendere posizione e schierarsi contro.
Nessun singolo detentore di buon gusto è di per sé pericoloso, ma ciò che spaventa è la capacità di compattazione in branchi, questi sì, spietati e implacabili, in grado di annientare chiunque metta in crisi la mediocrità della specie. Il senso di appartenenza è aldilà della parola e di argomentazioni razionali: il branco si muove seguendo l’istinto, sulla base di emozioni collettive, di impulsi inconsci, alla ricerca di sicurezza e conferme sociali.
Il clan serve a lenire l’angoscia della propria solitudine, ma non solo: l’essere molti rafforza la capacità di dominio e di potere sugli altri. Ce lo insegnano i licaoni: in branco acquistano una forza e una capacità strategica che li rende determinati, macchine da guerra capaci di assalire e vincere prede ben più grandi e potenti delle loro singole individualità.
Essere soli è sinonimo di debolezza e è consentito solo a chi ha grande forza e ha un buon rapporto con la morte.
Per entrare a far parte della compagine ci sono protocolli d’accesso, riti iniziatori: per alcuni si tratta di semplici formalità in quanto il buon gusto si trasmette per via ereditaria e quindi è sufficiente presentare le credenziali che la famiglia mette a disposizione gratuitamente e senza alcuno sforzo.
In altri casi l’accesso è più faticoso, a volte drammaticamente difficile al punto che c’è anche chi dedica tutta l’esistenza per riuscire a farsi accogliere nel clan del buon gusto, accumulando un’enorme quantità di insuccessi e frustrazioni: il clan teme il nemico esterno, ma contemporaneamente lo cerca per rafforzare la propria coesione interna.
Una volta inseriti diventa tutto più facile, basta lasciarsi andare e farsi trasportare dall’onda: il buon gusto organizza un calendario molto fitto di occasioni d’incontro, iniziative in cui basta esserci per sentirsi parte del gruppo, comportarsi, vestirsi, parlare e pensare come quelli che ci circondano. Il buon gusto ha i suoi premi, le sue feste, le sue inaugurazioni, i suoi locali, le sue fonti, i suoi codici.
Le sue riviste.
È proprio guardando una rivista che sto scrivendo queste righe.
Patinatissima arriva gratuita anche a chi, come me, non l’acquisterebbe mai. Veicola buon gusto a tutti i livelli, prodotti, persone, circostanze. Ogni numero è un’iniezione di immaginario, un corso accelerato di comportamento.
La formula vincente del successo editoriale è quella di aver inserito un grande numero di pagine con le fotografie di persone che abitano in città riprese in svariate occasioni mondane e sociali. Tutti sorridenti, eleganti, immortalati quasi sempre in gruppo, a rafforzare il senso di appartenenza al clan dei cittadini spensierati e ricchi, all’élite del buon gusto. Soirée per l’inaugurazione di un nuovo negozio di arredamento à la page, gala di beneficienza, party per festeggiare l’anniversario di qualcuno. Automobili, gioielli, generi attraverso i quali lo standard prevede che il lusso concretizzi i propri status symbol.
Le occasioni per apparire sono molte: i più in vista, che contano su carnet densi di impegni mondani, appaiono diverse volte nello stesso numero, fotografati nelle cornici di varie situazioni. A volte la fanno da padroni della festa, sono i vip della circostanza. A volte sono comprimari perché nell’occasione immortalata compare un personaggio di scala superiore, un vip nazionale e allora fanno a gara per farsi fotografare vicino a lui, in condizioni fintamente amichevoli e casual, come se la sola vicinanza bastasse a testimoniare un rapporto autentico, esclusivo e intimo.
Nella scala del buon gusto c’è sempre qualcuno più in alto e più in basso di te.
Ma, anche i meno notabili finiranno prima o poi per comparire, almeno una volta, piccolini sullo sfondo potranno mostrare un sorriso sfavillante e certificare così la propria appartenenza al club degli inclusi.
C’è anche chi paga, per godere il proprio momento di gloria: sono molti, pubblicizzano se stessi e la propria attività, lo fanno avvalendosi della certezza che in questo mondo è necessario avere un’immagine che ti renda vero, credibile, apprezzabile nelle classifiche del buon gusto.
Pochissimi sfuggono a questa trappola: stilare un elenco di chi non è mai stato fotografato è per me il vero motivo dell’analisi accurata di ogni numero. Ogni volta tiro un sospiro di sollievo nel pensare che alcune persone che amo e stimo non siano dentro le pagine patinate e possano continuare a permettersi di non sorridere a comando.
Sono le voci fuori dal coro, gli animali fuori dal branco: vivono la loro vita senza stampelle, senza un rassicurante “noi”, con un “io” alla ricerca e inquieto.
Solitamente tra loro e il branco vige un rapporto di indifferenza e di estraneità, propizio per consentire alla specie dei fuori dal coro una sopravvivenza relativamente facile: “But I mean no arm, nor put fault on anyone that lives in a vault. It’s allright ma’ if I can please them”.
La vita dei non inclusi diventa invece molto dura ogni volta che, per qualsiasi motivo, deve incrociare quella del branco e fare i conti con i suoi codici: “So don’t feel if you hear a foreign sound to your ears, it’s allright ma’ I’m only sighing”
Eh sì, grande Bob, cantore della solitudine urbana, emozione della mia gioventù, tu che hai bruciato ogni versione edulcorata della tua vita, offerta dalle riviste patinate e dai critici del buon gusto che hanno tentato in ogni modo di ammaestrarti entro i banali stereotipi dei loro salotti, maestro di vita fuori dal branco, esile figlio della metropoli che con la tua voce di stomaco hai fatto tremare i falsi miti della grande America, …grande Bob “…it’s life and life only…”.

illustrazione © Francesca Perani