Il potere diventa pornografico e osceno quando è associato alla vecchiaia.
Poco riesce a essere disgustoso come un vecchio che, prossimo alla morte, continua a esercitare una presunzione di potere e di dominio sugli altri più forte della sua stessa dignità.
Poco è altrettanto incomprensibile e privo di finalità giustificabili.
Uso il concetto di potere come lo usava Canetti, annientamento dell’altro, suo divoramento: potere come gusto di distruzione dal quale si ricava la sensazione di essere immortali, capaci di sopravvivere, contro l’evidenza del proprio corpo che si squaglia via via perdendo materia, forza, animalità.
Qualcuno dice che la vecchiaia funziona come un espansore dei difetti che abbiamo sempre avuto: io penso che la vecchiaia restringendo il nostro campo d’azione renda più evidente ciò che facciamo, concentrandolo in uno spazio meno diluito.
Di recente ho a che fare con un vecchio così: come la gran parte degli incontri che avvengono nella mia esistenza, non l’ho scelto, me lo sono trovata tra i piedi.
Scrivo per questo: ce l’ha con me, mi sta facendo del male e io ho bisogno di capire il perché, ho bisogno dell’azione terapeutica della narrazione. Scrivere, l’ho già detto, mi fa bene.
È un componente del Consiglio di Amministrazione di un Ente per il quale sto lavorando, opere di restauro che, pur essendo totalmente laica, affronto con profondo senso etico, quello che spesso cerco invano in chi pratica la religione come facciata e rito dell’apparenza o la politica come sciacallaggio e rapina.
Amo il mio lavoro: penso che tra i modi di convogliare utilmente moralità e impegno, il dedicarsi con correttezza e dedizione alle attività quotidiane sia basilare affinché una società possa funzionare e vivere bene.
Quante volte questo pensiero mi sovviene incontrando persone che si comportano ogni giorno come iene, ma si esibiscono una tantum in forme molto mondane di beneficenza e volontariato!
Il vecchio ha un passato di potere che non si rassegna a perdere: ha diretto un ente, poi ha diretto altre cose. Non so se è sposato e se ha figli: senz’altro ha diretto anche loro e con particolare autoritarismo ha diretto le donne che ha incontrato e tutti quelli che nella sua struttura ideologica rivestono un ruolo di inferiorità e debolezza.
Guida la macchina come un killer, infierendo sugli altri con ferocia e violenza: a peggiorare la situazione sta il fatto, evidente a tutti meno che a lui, che i riflessi sono ormai rallentati e i sensi usurati dal tempo.
Tutto quello che fa è un esercizio di affermazione sugli altri: il suo linguaggio è costruito per contrasti sprezzanti dei quali si serve per evidenziare, più che il bene delle sue idee, la bassezza di quelle dei suoi interlocutori. È viziato come un bambino viziato: pretende ossequi e reverenze, non sopporta chi si regge sulle proprie gambe e gli tributa sobriamente il rispetto codificato dai canoni della buona educazione, senza servilismi e sensi di inferiorità.
Più che al clan del buon gusto, troppo borghese e di basso rango, appartiene a quello dell’antica nobiltà in via d’estinzione, erede di molte tare e di pochi capitali, prodotto esangue di un patrimonio cromosomico in cui si sono combinati geni colorati dell’idiozia aristocratica rappresentata nella Famiglia Reale di Goya e geni neri e spietati dei tribunali di Daumier. Da detentore di una cultura umanistica di alto lignaggio quale pensa di essere, nulla capisce della più elementare argomentazione tecnica, mentre rovescia sul mondo eloqui ampollosi in cui la storia locale viene condita con abbondanti dosi di retorica dell’arte. Sentendolo mi tornano a galla i ricordi di vecchie professoresse con i capelli raccolti nei cucù grigi, alle quali per lunghi decenni è stato delegato il compito di insegnare l’arte agli allievi italiani e che sono riuscite a fare odiare a intere generazioni di studenti una materia meravigliosa.
L’arte da comunicare ai ragazzi è l’opposto della retorica trombonesca, è febbre, passione, sentimento incandescente, è eterna gioventù.
Non so perché questo vecchio ce l’ha con me, ma di certo non sono l’unica: l’avercela con qualcuno è per lui uno stile di vita.
Senz’altro ai suoi occhi di uomo di potere decaduto, di specificamente odioso in me c’è il fatto che sono una donna anche se faccio un mestiere da uomo, che questo non solo non mi toglie forza ma me ne ha concesso una razione supplementare, che in questo momento della vita godo di ottima salute e cammino con lo sguardo alto di chi non ha niente da rimproverarsi, perchè sta dando il massimo di quello che ha. Quando lo incontro non lo riverisco, non lo ossequio, semplicemente gli spiego con educazione le mie azioni e le mie scelte e vorrei che lui, troppo vecchio per agire e per scegliere, mi spiegasse le sue opinioni, soprattutto quando contrarie e negative.
Ma questo non avviene mai in mia presenza, forse perché spiegare la propria contrarietà a una scelta motivata significa motivare, almeno con la stessa forza, una scelta diversa e questo presuppone competenza e cognizione di causa. In mia assenza però, specialmente all’interno del Consiglio dell’Ente e soprattutto quando qualcuno osa esternare qualche lode nei confronti del mio lavoro, so che il vecchio scaglia contro di me anatemi infarciti di una spessa, quanto soltanto apparente erudizione, che nessuno poi ha né gli strumenti, né l’interesse a contestare, essendo il Consiglio improntato soprattutto dall’arte italica della mediazione e del tranquillo quieto vivere. Mi sento infangata dalle sue parole, dai suoi sguardi, da qualsiasi cosa ci ponga in contatto.
Così vicino alla morte senza amore, il vecchio ha dei connotati troppo tragici per appartenere al buon gusto: la sua figura mette però in evidenza alcuni dei tratti tipici di chi utilizza il popolo del buon gusto come una corte per imporre il suo potere. Persone così dominano e impongono e sono l’altra faccia di chi, strutturalmente, ha bisogno di essere dominato e di subire imposizioni. I contenuti e i concetti sono marginali, contano i toni della voce, i contesti psicologici, i ruoli all’interno delle rappresentazioni sociali.
Non durerà ancora molto: come tutto, anche il vecchio è destinato a finire.
Già mi immagino le commemorazioni che il popolo del buon gusto gli tributerà nel fatidico giorno, inni di ipocrisia e falsità sociale, coccodrilli, lapidi, dediche e forse l’intestazione di qualche premio in qualche istituzione provinciale.
Non mi mancherà.
Di certo non piangerò la sua perdita.